E’ apparso, qualche giorno fa, un articolo sulla testata de “Il Filo” con la firma del carissimo nostro Conservatore Maestro Riccardo Bartolini. E’ una bella pagina di storia, dove si racconta cosa successe il 31 dicembre 1943, il giorno dopo il terribile bombardamento. Lo riproponiamo perché ciascuno di noi sappia capire non solo quanto è stupida la guerra ma anche quanto, i nostri confratelli dell’epoca, seppero fare per alleviare le miserie di quei giorni.
BORGO SAN LORENZO – 30 dicembre 1943: il giorno dell’inferno scatenato su Borgo San Lorenzo. Tante le sensazioni e le immagini; troppe, per l’attenzione spaurita di un ragazzo di nove anni, qual ero allora. Il rombo come di centro treni lanciati tutti assieme; il tremore delle pareti come per un sisma apocalittico; le urla, la polvere nera e la terra sollevate dalle esplosioni; la fuga nei campi verso la Sieve; il “bivacco” fino a buio; fra centinaia di persone, in compagnia di freddo, fame, paura; il dolore e la disperazione di coloro che via via venivano a sapere della morte di persone care… Poi il rientro in casa, per la notte: una notte insonne, di angoscia e di incubi.
31 dicembre 1943: di tutto l’orrore di allora, questo è rimasto in me il ricordo più triste e drammatico. Era il mattino dell’ultimo dell’anno: una fine d’anno fredda, con un cielo grigio dal quale veniva giù a tratti, nel vento, una pioggerella gelida, mista a nevischio. Sulla porta di casa, ero in attesa che i miei familiari caricassero su un “barroccio” trainato da un cavallo le poche, misere cose da portar dietro per lo “sfollamento” verso la campagna vicina. Mentre aspettavo, ecco una visione tragica che non ho mai più dimenticato: giù per il viale, veniva pian piano dalla zona della stazione ferroviaria l’antico “volantino” –il carretto a mano della Misericordia, trainato da tre o quattro “fratelli” con la loro veste nera. Non provai spavento per gli “uomini neri”, perché ero abituato a vedere spesso anche mio babbo vestito così. Il letto del volantino era coperto alla meglio da un grande telo bianco: mi resi subito conto che non era, non poteva essere un soccorso, ma piuttosto una sorta di funerale. Ma quando il triste convoglio fu davanti a me, un colpo di vento improvviso sollevò in parte il telo: da sotto vidi spuntare un corpo vestito di scuro, che con un braccio stringeva ancora un “fagottino”, dal quale vidi nettamente il protendersi di un altro braccio, assai più piccolo. Fu un attimo, come un flash che mi si stampò nella memoria, prima che la mano pietosa di un “fratello” della Misericordia si affrettasse a ricoprire quel triste carico di morte.
Seppi poi –forse mesi o anni dopo-, che si trattava di una madre col suo bimbo, ritrovati stretti assieme sotto le macerie della loro casa. Quella fu l’immagine che mi fece capire, tutta insieme, l’enorme crudeltà della guerra, l’inutilità delle stragi (che colpiscono in prevalenza la popolazione civile), e soprattutto fu la constatazione di come l’uomo, capace di elevarsi in opere sublimi di amore e d’intelligenza, sia al contempo così fragile da abbassarsi a livelli d’odio e di ferocia che neppure le belve raggiungono.
30 dicembre 2016: a distanza di settantatré anni, mi sembra che i nostri morti di quel giorno abbiano ancora una parola da dire a noi, poveri esseri del 2000. Una parola sola, ma grande, chiara e forte: Pace!
Riccardo Bartolini